LA STORIA DI LUDOVICA FRANCHI

(STAMINALI MESENCHIMALI DEL PROF. VANNONI E DEL DOTT. ANDOLINA)

di Emanuela Rocca

Ho iniziato da poco ad approfondire la mia conoscenza sulla terapia con cellule staminali mesenchimali del prof. Davide Vannoni.

Mai visto tanto accanimento contro questa associazione ONLUS (Il Sito ufficiale della fondazione è www.staminafoundation.org.); chiunque scriva qualcosa su questo argomento viene attaccato in maniera a dir poco maniacale e sempre portando ad esempio i soliti discorsi ormai obsoleti, passati, vecchi. Possibile che le persone siano così poco intelligenti da basarsi su articoli e fatti di anni fa e non si preoccupano invece di controllare l’evolversi degli avvenimenti negli anni seguenti? Anche i bambini sanno che una terapia innovativa come questa, tra l’altro ostacolata in ogni modo da tutti, ha bisogno di tempi, autorizzazioni, esperimenti, ma di tempo non ce ne è a sufficienza perché ogni giorno perso costa la vita a tante persone malate tra cui tantissimi bambini. Malati che non hanno a disposizione nessuna cura già testata per cui vengono lasciati morire da soli, senza nessun tipo di assistenza da parte di nessuna struttura medica. Nessuno sente il loro grido di AIUTO, neanche le Istituzioni, nonostante che, da oltre due mesi, alcuni malati terminali presidiano davanti al Parlamento. Nessun telegiornale e nessun giornale parla di loro, se non qualche giornalista libero che pubblica brevi interviste nel web e questa è una vergogna vera per uno Stato che si ritenga “civile”. Per sensibilizzare tutti, compresi coloro che imperterriti continuano a fare commenti negativi su questo problema, voglio raccontare alcune storie VERE, storie che toccheranno il cuore e la sensibilità di tutti e inizierò dalla storia di Ludovica Franhi.

 Ludovica nata a Roma l‘8 giugno del 2006, una bellissima bambina nata apparentemente sana perché la malattia genetica nata con lei non si manifesta subito. I suoi primi due anni di vita procedono normali ; riconosceva le lettere dell’alfabeto, sapeva contare e distingueva i colori, per cui a livello cognitivo niente faceva percepire che avesse una malattia devastante. Purtroppo la mamma si accorse presto che qualcosa non andava; la piccola faticava a salire le scale, a sedersi, la sua manualità era limitata, ma quello che preoccupava di più era che ogni volta che beveva, qualsiasi liquido, le andava di traverso. Da qui iniziò il calvario, i genitori la portarono da alcuni specialisti che non riscontrarono in lei nulla di strano fino a quando i genitori, con la loro insistenza, non fecero notare alcuni comportamenti anomali della piccola. Uno di loro si insospettì e prescrisse una risonanza magnetica “senza urgenza”, fissata quattro mesi dopo. Purtroppo la piccola iniziò ad avere crisi epilettiche e fu portata di corsa al San Camillo. Dopo i controlli di routine e dopo elettroencefalogramma e risonanza magnetica negativi fu dimessa in quanto ritenevano che la bimba fingesse e che la mamma fosse troppo apprensiva e stressata. Dimessa, nonostante la piccola Ludovica avesse una decina di crisi epilettiche giornaliere prescrivendole solo una cura inadeguata come dosaggio necessario a bloccare queste crisi. La dimisero rassicurando i genitori che tutto sarebbe passato con il tempo.

Le crisi della piccola invece di diminuire aumentarono di frequenza e la piccola fu portata di urgenza al Bambin Gesù di Roma in uno stato di male epilettico e la salvarono per miracolo. Finalmente i medici si resero conto che la piccola probabilmente avesse una malattia seria metabolica, ma dato che la mamma era fisioterapista e al nono mese di gravidanza, cercarono di minimizzare il problema. La bimba fu ricoverata per una serie di accertamenti e dopo tre lunghi mesi finalmente arrivò la diagnosi: “Malattia di Tay Sachs giovanile”, malattia incurabile, letale e talmente rara che in Italia ne sono state colpite solo Ludovica e un’altra bambina di nome Sveva. Responso: un anno di vita, al massimo due!

Chi ha dei figli potrà comprendere quale dolore lancinante potessero provare i genitori in quel momento, un dolore che ti fa perdere i sensi e il lume della ragione. Una disperazione che non trova consolazione.

 La guardarono, era lì, di fronte a loro , ancora viva e li vedeva piangere e forse si domandava cosa avessero fatto i genitori, cosa li avesse resi così tristi da piangere con tanta disperazione. L’amore per questa creatura non li abbandonò, anzi, decisero “basta lacrime” e iniziarono a festeggiare ogni giorno di vita di Ludovica e iniziarono a fare l’impossibile affinché la piccola passasse il tempo che gli rimaneva da vivere nella maniera più confortevole possibile. La mamma lasciò il suo lavoro e iniziò a studiare la malattia, contattò altre famiglie di piccoli angeli e una associazione americana: la NTSD che si occupava di ricercare una cura per questo tipo di malattia e similari. Come sovente accade, ricevettero tantissima solidarietà da persone mai conosciute prima, ma molta meno da alcuni amici di vecchia data che trovavano difficile portar loro una parola di conforto per la tragedia che stavano vivendo.

Durante le loro affannose ricerche vennero a conoscenza di un farmaco che avrebbe potuto rallentare il decorso della malattia e dopo svariate lotte riuscirono ad averlo. Questo farmaco però non ebbe i risultati sperati e la mutazione genetica di Ludovica progredì rapidamente, nel giro di sei mesi perse la parola e non camminò più. Dopo un anno divenne cieca e non riusciva più a deglutire e i genitori furono costretti a metterle la PEG (La PEG è una tecnica che consente la nutrizione enterale. La PEG viene solitamente posizionata nei pazienti che necessitano di una nutrizione enterale per un lungo periodo. A differenza del sondino naso-gastrico risulta maggiormente tollerata ma da recenti studi è emerso che non determina un significativo miglioramento della qualità della vita né una riduzione delle complicanze ad esempio: rigurgiti ed aspirazione, pertanto il suo utilizzo va riservato solo in pazienti selezionati e comunque con una aspettativa di vita maggiore di 6 mesi). Ludovica perse il sorriso e non comunicò più in alcun modo. I genitori vedevano la bambina spegnersi giorno dopo giorno ma non si davano per vinti e continuarono la loro lotta contro il tempo e la morte. Volando ad Israele da un professore Russo-Ucraino che, avendo studiato la dopamina (neurotrasmettitore) scoprì che la carenza di dopamina nelle patologie neurodegenerative ne causava la paralisi, così iniziarono la cura a base di “idopa”. Questa cura fatta per 4 volte costò 20.000,00 € a ciclo e Ludovica stabilizzò il decorso della sua malattia subendo effetti straordinari: migliorò la sua partecipazione ambientale recuperando anche il ritmo sonno-veglia e non ebbe più crisi epilettiche, le uniche crisi “riflesse” erano causate da rumori improvvisi comunque controllabili farmacologicamente.

 Nonostante il miglioramento di vita di Ludovica i genitori non si fermarono, continuarono a cercare con la speranza di trovare qualcosa che migliorasse ancora di più la vita della propria figlia. Anche con questi miglioramenti Ludovica rimaneva paralizzata, senza movimenti volontari, l’unico barlume di luce che faceva comprendere che percepiva quello che le accadeva attorno era il suo sorriso “sociale”. Durante il periodo della cura idopa, vennero a conoscenza che a Brescia si praticava una terapia con cellule staminali su patologie neurodegenerative come quelle di Ludovica. In un primo momento esclusero di far fare alla figlia questa terapia in quanto avevano letto che alcuni bambini in AMERICA , trattati con cellule “embrionali” erano deceduti.

Il tempo passò e sempre con maggiore frequenza sentirono parlare della cura con cellule staminali mesenchimali del Prof. Vannoni così decisero di informarsi più a fondo e iniziarono ad avere rapporti epistolari sia con il Prof. Vannoni che con il Dott. Andolina, dopo di che iniziarono l’iter per accedere alle cure “compassionevoli” trovando per la prima volta, nel loro lungo CALVARIO, un giudice che diede il suo consenso ad accedere alla cura delle cellule staminali mesenchimali perché era a conoscenza della vicenda e a favore di questo tipo di cura.

In tempi brevissimi ricevettero l’ordinanza dell’autorizzazione al prelevamento delle cellule ad uno dei genitori: il così detto “carotaggio osseo”, successivamente fu fissata l’udienza tra loro e gli SPEDALI CIVILI DI BRESCIA i quali si presero una settimana per decidere, ma nella stessa notte arrivò una PEC al loro avvocato con l’ordinanza a poter procedere alla cura staminale mesenchimale.

 Ludovica ricevette la sua prima infusione i primi di luglio 2013 e la seconda nel mese di agosto. Ludovica apparirà subito più serena e disponibile, molto più attiva, recuperando anche la peristalsi intestinale non avendo più bisogno di lassativi o clisteri per evacuare. Iniziò a vocalizzare sempre più e recuperò attività motoria a livello della spalla sinistra. Iniziò a girarsi su un fianco da sola accendendo tante di quelle lucine che la sua orrenda malattia stava inesorabilmente spegnendo. Ludovica ora sta molto meglio e anche se i genitori sono coscienti che la malattia della figlia è in uno stato avanzato, accetteranno di buon grado ogni miglioramento positivo che ne verrà da questa nuova terapia.

 Ringrazio la mamma di Ludovica, Francesca Atzeni per avermi dato la possibilità di far conoscere la loro storia e con questo di far sperare altre famiglie che stanno subendo il loro stesso dramma e calvario.

                                                                                                                   Emanuela Rocca