INTERVISTA A GASTONE CAPPELLONI, il poeta dell’ anima

INTERVISTA  A  GASTONE  CAPPELLONI,  il poeta dell’ anima                                                                                                     

Di: Laura Gorini

Nasce il 25 giugno 1957 a Sant’Angelo in Vado, in provincia di Pesaro e Urbino, paese di quattromila anime, ai piedi dell’Appennino Marchigiano, dove vive tuttora.

Inizia a lavorare all’età di quattordici anni in tipografia, proseguendo in una azienda tessile fino al conseguimento della pensione.

Gastone dice di se: “Mi ritengo una persona fortunata, non perché ricco ma semplicemente la vita mi ha permesso di soddisfarmi con il poco che possiedo, per saper vivere bisognerebbe immedesimarsi in chi, soffre nell’indigenza, rovista nell’immondizia, nello sfruttamento”. La realtà, e l’orgoglio benedetto di dire a me stesso, Gastone, in questa vita ha avuto tanto, ringrazio il Cielo, perché la dignità non calpestata e da uomo libero. Ricordarsi, che, la vita è come il tavolo da gioco, beh, io punto ad alzarmi da”quel” da persona onesta.

Nel 2000 pubblica il suo primo libro: “Vorrei ma non posso”. Prima raccolta di poesie dialettali.

Nei versi di Gastone si coglie il messaggio del guardare oltre il limite del presente temporale. Definire la sua poesia come messaggio desiderante, è in fondo, voler percorrere il desiderio stesso dell’anima che attraverso i versi guarda sé e ciò che è oltre ossia la realtà in cui si definisce e determina. 

Gastone, che cosa significa scrivere poesie oggi?

Oggi, ieri, domani, ci sarà sempre un ricordo che avrà bisogno di rivivere con te, quindi perché non continuare con il filo di vita che quotidianamente avverte il bisogno di appagarsi continuando a riempire di parole calamaio del tempo? Non esiste un oggi che identifica la poesia ma frammenti quotidiani e per giunta inesplorati di un diario che altrimenti il tempo renderà illeggibile.

Credi che i giovani di oggi sappiano ancora scriverle?

Me lo auguro: identificarsi in se stessi è allontanare l’omologazione industriale di questa incolta società,  quindi giovani  che sono il  futuro della Poesia, del loro stesso avvenire, purché concessa l’investitura di non inseguire modelli consumistici e di facile accesso. Sicuramente sono lettori e poeti, il tempo sentenzierà se in loro poesia di costruttiva vita o scadente ricordo; mi auguro che negli scritti la poesia sia modello di onestà intellettuale e di comportamento onesto.

Che cosa si vuole esprimere secondo te quando si scrive un testo poetico?

Ancorate percezioni legate all’appartenenza che albeggia in ognuno di noi, questo si vuole esprimere quandosi scrive una poesia. E’  difficile raccontare le sensazioni di chi ha nella poesia il trascorso personale,  quindi il significato irrinunciabile dell’utopia, spesso dietro a un testo poetico si comprende l’angoscia che racchiude lo scritto, la sofferenza del Poeta, dell’Uomo; infatti, il testo potrebbe essere volutamente incomprensibile al lettore perché doloroso, quindi criptico. Nelle mie poesie abita un mondo parallelo, dove scorci di ermetismo continuano a dialogare raccontandosi di storie lancinanti e d’inaccessibile apertura.

Deve essere qualcosa di meditato o di mediato?

Mediato, forse con te stesso dopo aver appreso che tutto deve essere capito e riscoperto, senza mai lasciare che il tempo bruci inutilmente, nella ricerca di un giorno dopo che non esisterà. Mediare potrebbe rivelarsi vincente se solo comprenderemo la brevità della clessidra al servizio di noi poveri mortali.

Meditato? Si scrive per non impazzire; spesso, per raggiungere l’illusione di abitare le percezioni che svestono i vestiti della mente, ma che le ricoprono per proteggerle perché sacre agli occhi del cuore. Meditare appartiene a chi vive a contatto con la realtà della riflessione, senza accontentarsi di lettere senza inchiostro.

Insomma, le poesie vanno corrette o scritte di getto?

Scritte di getto o meditate? Fermare l’attimo o raccontare le emozioni?

La Poesia ha i suoi tempi, noi possiamo aspettare solo le percezioni, le pause, gli affanni, la Sua follia, scriverla di getto o riprenderla dopo giorni o mesi? Ecco, lei è racchiusa in tutto questo, un attimo o un’eternità, Lei per sempre padrona indiscussa nell’età; quieta o assillante, riflessiva o impulsiva, rimettendosi in gioco dopo averla partorita o concepita, lei anarchica senza regole o disciplina.

E l’ispirazione come la definiresti?

Maestra saggia e incontrastata di vita, che detta i tempi senza la frenesia che ci accompagnerà per tutta la vita; ispirazione è ossigeno prima di riprendere il cammino meditando senza l’ansia convulsa di scheletrici umani. 

Credi ancora che le Muse siano davvero le migliori amiche dei poeti?

Certo che sì, almeno nell’immaginario, in fondo siamo prigionieri di luoghi comuni e stereotipi, di conseguenza perché non approfittare di Muse che vivono regalandoci illusioni e verità e che completano il bagaglio personale di logiche scomode ma sicuramente positive? Sì dai, le muse sono le migliori alleate di chi scrive e racconta, altrimenti, un altro mito sfatato e caduto in disgrazia.