I Bronzi di Riace e le nuove teorie a cura del Critico d’arte Melinda Miceli

Dal 1972, quando il mare calabrese restituì i due magnifici Bronzi di Riace, queste statue sono divenute tra le scoperte archeologiche più emblematiche del Novecento. Due figure maschili, nude e bronzee, una giovane e atletica, l’altra matura e solenne, continuano a suscitare interrogativi sulla loro origine, funzione e identità.

Attribuite da Paolo Moreno alla cerchia di Fidia e Policleto, con radici nella scuola peloponnesiaca del V secolo a.C., le statue richiamano l’arte classica più alta. Tuttavia, non mancano teorie alternative: l’archeologo Salvatore Ciancio propone una genesi siciliana, collocando i bronzi a Leontinoi, patria di Pitagora Lentinese, celebre bronzista lodato da Plinio il Vecchio per la resa anatomica rivoluzionaria delle sue opere. In un contesto culturale ricco come quello di Leontinoi, città di Gorgia e di Erodico, simili capolavori non sarebbero stati impossibili.

A questa visione si affianca la recente ipotesi siracusana, sostenuta dai dott. Anselmo Madeddu e Rosolino Cirrincione, basata su analisi geochimiche delle terre di saldatura che avrebbero trovato corrispondenze con i sedimenti del fiume Anapo, a Siracusa. Questa pista apre la possibilità che le statue siano state assemblate o transitate nella potente polis aretusea, nota nel V secolo a.C. per il mecenatismo culturale e le sue botteghe bronzistiche. Potrebbero essere stati ex voto offerti dopo la vittoria nella battaglia di Imera, o effigi di generali eroizzati, destinate a santuari monumentali come quello di Zeus Eleutherios.

Non mancano però voci critiche: stilisticamente, molti studiosi collocano saldamente i Bronzi nella grande scultura greca continentale. Inoltre, l’assenza di prove epigrafiche o documentali rende difficile una localizzazione siciliana certa.

Ma a complicare ulteriormente il quadro si inserisce oggi un nuovo capitolo: la Procura della Repubblica di Siracusa ha avviato un’indagine sui Bronzi di Riace, ipotizzando l’interferenza di archeomafie, ovvero organizzazioni criminali dedite al traffico illecito di reperti archeologici. L’archeomafia si muove nell’ombra tra scavi clandestini, falsificazioni, ricettazione e compravendita illecita di beni culturali, spesso agevolata da collezionisti compiacenti e complicità istituzionali.

La tesi investigativa prende spunto dalle ipotesi formulate già negli anni ’80 da studiosi americani come Robert Ross Holloway, secondo cui il ritrovamento a Riace potrebbe non essere stato frutto del caso, ma l’esito di un nascondiglio segreto legato a un traffico clandestino. Se confermata, tale pista aprirebbe scenari inquietanti su come questi due capolavori siano finiti nelle acque calabresi.

L’identità dei Bronzi di Riace resta dunque avvolta in un fitto velo di mistero, dove la storia si intreccia con la mitologia, l’arte con la scienza forense, e l’archeologia con il crimine. Il loro fascino immortale continua a ispirare studiosi e visitatori, simbolo insieme di perfezione formale e di enigma ancora irrisolto.

Dott.ssa Melinda Miceli Critico d’arte

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