Intervista a Domenico Romeo, “lo spirito della strada mi ha forgiato” di Laura Gorini

L’odio viene vissuto con innocenza e l’innocenza delle idee e dei tessuti connettivi culturali e ideologici, diventa serbatoio di odio sociale

Odio Innocente “, così si intitola il settimo romanzo di Domenico Romeo, ambientato nella Capitale. Un testo indubbiamente tosto dove non mancano interessanti citazioni letterarie. Al centro il senso di rivalsa, ma soprattutto, di vendetta di Matteo.

Domenico, il tuo ultimo romanzo si intitola Odio Innocente, non è forse un ossimoro? Come fa un sentimento come l’odio essere accostato all’innocenza?

E’ esattamente così, un ossimoro. Tutto il romanzo si basa su giochi di contrasti incalzanti e l’odio e la stessa paradossale innocenza dell’odio si fondono nelle vite dei personaggi. L’odio viene vissuto con innocenza e l’innocenza delle idee e dei tessuti connettivi culturali e ideologici, diventa serbatoio di odio sociale. Il tutto è calato in delle ambientazioni tipiche degli anni settanta, bisogna contestualizzare il tutto all’epoca e chi leggerà il romanzo, immergendosi nel contesto, capirà anche il senso del titolo.

L’innocenza è solitamente connessa all’infanzia, dunque ai bambini. Tu ci fai conoscere il protagonista quando lo è ancora anche se è costretto ben presto a considerarsi adulto. Lascia gli studi e decide di indossare la divisa per portare soldi sicuri a casa. A chi ti sei ispirato per la parte iniziale della sua esistenza?

Procediamo con ordine. Seppur calabrese, diversi anni della mia gioventù li ho vissuti a Roma, una città che mi ha avvolto e travolto in tutto il suo insieme e mi ha plasmato come uomo facendomi crescere. Ho avuto modo di entrare nel cuore della città, in tutti i suoi aspetti più disparati, contraddittori, che vanno dalle periferie difficili al centro storico. Il racconto delle periferie difficili, descritte nel romanzo e vissute dal protagonista, è frutto di un contatto umano sociale realmente conosciuto da me in quei contesti di borgate romane e tutto è partorito di getto, senza bisogno di affidarmi a terze persone.

Lui ha tre grandi idoli: Pier Paolo Pasolini, Benito Mussolini e Roberto Rossellini, eppure soprattutto il primo pare in contraddizione con il secondo per le idee. Forse il ragazzo aveva ancora molta confusione o più che per la politica provava ammirazione per gli esseri umani?

Riguardo agli idoli del personaggio (Pasolini, Mussolini e Rossellini), come già ribadito, il tutto rientra in un contesto di narrazione apparentemente contraddittoria e opposta, ma che in realtà non lo è perché poi, chi leggerà il romanzo, tutto sfocia in una linea coerentemente univoca. La costante ricerca delle location in cui risultava essere impegnato il regista Rossellini era anche un tentativo inconscio di fuggire dalla realtà di una borgata povera, ma che puntualmente si tramutava in disillusione. Matteo è povero ed è assetato di libri, legge di tutto, ma poi, avendo diverse anime, si riconosce in determinati soggetti in base alle esigenze del momento. E’ Pasolini, comunque, che avrà la meglio, il cantore della sua infanzia, della sua povertà. Tutto il romanzo ruota sul tentativo di cercare la verità sul suo omicidio, un’ossessione che lo condurrà in ambiti incredibili e più grandi di lui incontrando sia uomini di Stato che della malavita…

Inizialmente leggeva anche Cesare Pavese e Dante Alighieri, poi li ha accantonati. Come mai hai scelto di nominare proprio loro tra i suoi prediletti nei primi anni della sua vita?

Perché il protagonista è povero e riesce solo a leggere i compendi che Cristiano, il suo amico del cuore, riesce a rubare per donarglieli. Con Pavese e con Dante non riesce quel sentimento di identificazione letteraria che, diversamente, avviene con Pasolini al punto da diventare invasato. Una psicosi letteraria che uscirà fuori quando si imbatte in una rapina che compie con i suoi sodali, “contorniata” da aspetti umani che trasudano di autentico delirio sia ideologico che letterario.

Hai nominato Cristiano, la loro amicizia rimane fortissima fino a quando sono grandi. Credi che questo sentimento sia il vero principe ancora di più dell’amore?

Nell’ambito della storia da me narrata, senz’altro. Il tentativo di vendicare Cristiano da un assalto virulento dalla matrice ideologica e che creerà danni esistenziali allo stesso Cristiano, viene somatizzato dal personaggio come ragione di vita. Il tormento della vendetta è decisamente superiore al desiderio di amare stabilmente una donna.

Come è fattibile oggi rimanere amico di una persona per così tanto tempo?

L’amicizia è un valore eterno, ha un grande significato, affinché duri per tanto tempo servono valori ben radicati.

A proposito, ma cosa significa, nel concreto, essere amico di qualcuno?

All’interno del romanzo il sentimento dell’amicizia è simbiotico a quello della vendetta, per ovvi motivi narrativi figlie dell’ideologia violenta manifestata in quei contesti. Al di fuori del contesto narrativo, a livello personale, posso dire che, grazie a Dio, io ho ancora gli amici di sempre, con i quali sono cresciuto in strada. La mia generazione, nata a metà anni Settanta, sul finire del decennio o all’inizio degli anni ottanta, cresceva per strada e questo tendeva a unire e a crescere insieme con chiunque in maniera genuina. Si cresceva prima, la strada era il mondo. Sono orgoglioso di dire di essere figlio della strada, cresciuto in una periferia al tempo estrema (ora non più) di una città del profondo Sud. Ero piccolo quando, un giorno, girovagando per il mio rione, vidi per la prima volta un uomo morto: era una vittima di mafia, giaceva a terra crivellato di colpi in faccia. Quell’immagine ce l’ho ancora in testa, ma non ha mai suscitato ripercussioni particolari o traumi vari dell’infanzia. Ovunque sono andato ho portato dietro una corazza durissima e una palestra di vita fondamentale, in strada le davi e le prendevi, imparavi a difenderti, mentre vedevo ragazzi intorno morire di droga o “arruolarsi” al servizio di qualcuno per soldi facili. Mi sono realizzato negli studi da solo, un passo alla volta, facendo solo leva sul mio sudore, senza chiedere niente a nessuno, in virtù proprio dello spirito della strada che mi ha forgiato.

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