Intervista a Paolo Ballardini, uno scrittore sempre in movimento di Laura Gorini

L’ultima opera è di solito la meglio scritta

Non ha reso moderni, come molti in passato hanno fatto, Miryam e Yosep, i genitori di Gesù, Paolo Ballardini nel suo romanzo dove ci racconta le loro vite prima della nascita del Messia. Ha studiato e letto molto per donare ai suoi lettori un romanzo ben scritto, dove la sua tecnica si è certamente sempre più affinata. Grande viaggiatore, ha anche visto di persona molti luoghi che descrive, dimostrando ancora una volta la sua grande correttezza nei confronti di chi lo legge.

Paolo, lei è uno scrittore molto prolifico. Non per nulla ha all’attivo diverse pubblicazioni. Tuttavia molto scrittori dicono sovente che l’ultima opera sia la migliore. Il suo Miryam e Yosep è la sua opera migliore?

Uno sportivo raggiunge l’apice delle sue prestazioni quando unisce tecnica alla prestanza fisica. Poi anche se la tecnica si affina, la performance dello sportivo declina. Per scrivere non serve prestanza fisica e la tecnica non cessa mai di migliorare. Così sì, l’ultima opera è di solito la meglio scritta.

Nelle Sacre Scritture la figura di Giuseppe/Yosep, padre terreno di Gesù, non è messa molto in primo piano. Lei con i suoi studi, che idea si è fatto sul personaggio?

Io ho scritto un romanzo, e in nessun momento pretendo di essere storico e teologo. Scrivo sulla base della lettura accademica dei Vangeli. Mi sono basato sui Vangeli canonici, sugli apocrifi, sulla prima letteratura cristiana e sull’analisi critica dei maggiori accademici contemporanei. Ho lavorato sulla Bibbia e sulla tradizione ebraica. Ed altro. Chi era Yosep? Un ebreo conservatore di un villaggio remoto di una provincia marginale del grande impero romano. Un personaggio che si trova a gestire la posizione difficile di padre di un figlio non suo. Un uomo che la vita ha portato a reinventarsi.

Lei ci presenta Maria/Myriam poco più che bambina mentre vive in un orfanotrofio. Qui lei vive le più disparate emozioni e sogna l’amore come qualsiasi ragazzina. È dunque forse nella normalità e nella semplicità che si può trovare pure l’eccezionalità?

Non c’è nulla che renda Miryam straordinaria, neanche il nome: a quel tempo una bambina su cinque si chiamava così. La sua famiglia è assente quando lei concepisce. Forse per questo uno degli apocrifi la vede orfana e educata al tempio di Gerusalemme. È un’ipotesi affascinante. Viene da chiedersi dove e da chi il predicatore, esorcista e guaritore, suo figlio, ha acquisto la conoscenza dettagliata delle Scritture che dimostra da adolescente nel Tempio e negli anni della predicazione.

Lei ha compiuto nuove e importanti ricerche per dare in mano ai suoi lettori dati, fatti e descrizioni sia storiche che geografiche ben precise. Nel farlo è rimasto talvolta piacevolmente sorpreso o al contrario sconvolto da ciò che aveva scoperto?

Si apprende di più dalla lettura letterale delle storie antiche, come i Vangeli, che dalle costruzioni teologiche che pretendono di interpretarle. Sono straordinariamente interessanti i risultati della ricerca metodica degli accademici, che ricercano una verità fattuale, umana, radicata nelle credenze del tempo.

E ora a che cosa ha in mente di dedicarsi? I suoi prossimi progetti?

Sono convinto del valore di Miryam e Yosep, il Romanzo della Natività e mi sono preso un anno di pausa per promuoverlo. Chi lo viene a conoscere, pare entusiasta: è incoraggiante. Vorrei farlo leggere alla radio. Sto preparando l’edizione americana che uscirà il prossimo anno. Quando tutto questo sarà avviato tornerò a dedicarmi a un nuovo romanzo, ambientato nell’Italia della Controriforma cattolica, a una raccolta di racconti e a un libro di aforismi. Insomma, ho da fare.